“Con i sogni ancora in tasca” – La rabbia e il dolore di una generazione nel messaggio di Violante dopo la tragedia di Lizzano
In questi giorni di lutto e sgomento, dopo il terribile incidente stradale che ha spezzato la vita a quattro giovanissimi della nostra terra, si alza forte e chiara la voce di chi è rimasto.
Di chi, come Violante – studentessa del Liceo De Sanctis Galilei di Manduria – vive ogni giorno la precarietà, la paura, la rabbia di sentirsi dimenticata su strade pericolose, inascoltata nelle sue domande.
La sua riflessione, pubblicata sui social e subito condivisa da tantissimi coetanei, è un gesto di amore e di coraggio. Ma soprattutto è un grido potente, sincero, pieno di verità che forse finora non è stata detta abbastanza forte. Non si limita a piangere: chiama tutti – adulti, istituzioni, educatori – alla responsabilità. Alle parole, seguano i fatti. Ai fiori sull’asfalto, rispondiamo con educazione, sicurezza e ascolto vero.
Quello che è successo è una tragedia devastante, che ha scosso un’intera comunità. Il dolore espresso da Violante è lo specchio fedele di un sentimento collettivo: quello dei giovani che si sentono vulnerabili, spaventati, arrabbiati. E il valore del suo messaggio è enorme – sociale, civile, emotivo. È uno di quei testi che devono diventare virali, non per spettacolarizzare il dolore, ma per svegliare coscienze. Per responsabilizzare. Per far riflettere.
Ecco, integralmente, il suo messaggio.
Lettera di Violante
Ciao a tutti. Come avete sentito, io sono Violante, di Sava, ma studio a Manduria e sono sempre stata molto legata alla mia terra. Amo questa Puglia che mi ha cresciuta, che mi ha dato gli occhi pieni di luce, ma ultimamente ho notato che questa terra mi sta proprio togliendo il fiato.
Mi uccide dentro, perché so che ogni volta che metto piede fuori casa potrei morire. Potrei anche non tornare. Non perché io lo voglia. Ma perché qui, ormai, morire è diventato normale. Ma com’è possibile che questa stessa terra che amiamo, questa stessa strada che percorriamo ogni giorno, diventi quella che ci porta via gli amici?
L’altra notte degli amici, dei fratelli e delle sorelle, dei figli, hanno perso la vita uscendo fuori strada e schiantandosi contro un albero. E sapete che albero era? Un albero d’ulivo. Lo stesso che per noi rappresenta radici, vita, tradizione. Quella notte era sporco di sangue.
Negli ultimi anni, nel Tarantino, nel Brindisino, stanno morendo troppi ragazzi. Giovani con la voglia di vivere negli occhi, con i sogni in tasca. Ragazzi che avevano tutta la vita davanti, e che oggi non sono più qui. Ma perché? È questa la domanda che ci stiamo facendo tutti.
La risposta ce l’abbiamo sotto gli occhi: manca l’educazione vera. Quella che non fa solo paura con le multe, ma che ti apre gli occhi. Perché non si muore per una multa. Si muore perché nessuno ci ha mai guardato in faccia per dirci davvero cosa può succedere.
Bisogna che qualcuno ce lo dica: se corri, potresti uccidere. Se guidi dopo aver bevuto, potresti morire. Se ti distrai, potresti distruggere una famiglia. E potresti non tornare più a casa. Potresti non vedere più la tua stanza, potresti schiantarti contro un albero, con gli amici che gridano il tuo nome e i tuoi genitori che ti riconoscono dentro una bara.
Bisogna cambiare il modo in cui si parla ai ragazzi. Perché noi non siamo stupidi. Siamo solo ribelli. Abbiamo bisogno di essere educati. Ci sentiamo invincibili. E finché nessuno ci parla col cuore, continueremo a crederlo.
Il nuovo codice della strada parla di regole più severe, più controlli, più multe. Ma servono davvero? Sì, ma solo se prima educhi. Solo se sistemi le strade. Solo se ci stai vicino. Altrimenti continueremo a contare le croci.
E domani potrebbe toccare a uno di noi. Le strade le conosciamo: la Sava-Francavilla, la Sava-Maruggio, la Manduria-San Pietro in Bevagna. Strade strette, pericolose, abbandonate, piene di buche, senza illuminazione, senza controlli.
Ma non è solo colpa dell’asfalto. Gli errori li fanno anche gli adulti. Le tragedie non hanno età. E allora quanto deve essere profondo il dolore per farci svegliare? Quanti nomi dobbiamo incidere sulle croci ai bordi delle strade?
Ogni volta è lo stesso copione: il silenzio a scuola, un post sui social, una messa, qualche lacrima. Poi il nulla, fino alla prossima. Perché tanto non è successo a me. Ma intanto il ragazzo che si sente immortale ci riprova. Fuma, beve, corre, prega di non essere il prossimo.
Ma non basta pregare. Serve educare. Serve rifare le strade. Serve urlare che così non va più bene. Non vogliamo altri fiori sul ciglio della carreggiata. O almeno, io non li voglio più.
Non voglio svegliarmi la domenica mattina con l’angoscia di essere la prossima. Voglio vivere. Voglio vedere i miei amici crescere, invecchiare, costruire qualcosa. Voglio incontrarli tra vent’anni, al mare o al supermercato, e dirgli: “Ti ricordi il liceo?” Non voglio più ricordarli solo perché non ci sono.
Stanotte, sulla strada tra Lizzano e Faggiano, sono morti quattro ragazzi. Quattro amici. Quattro figli. Quattro vite. E io non voglio restare zitta.
Perché alla fine non è solo l’asfalto che uccide. È il silenzio. È la risata amara di chi dice “vabbè, tanto succede”. Ma io non ci sto più. Io piango. E mentre piango ho paura. Paura di non finire il liceo. Paura di non vedere le rughe sul volto di mia madre. Paura che sia lei, un giorno, a dovermi salutare su una strada buia.
Giorgia non sorriderà più con i suoi rossetti rossi. Giovanni non andrà più a ballare. Anita non chiederà più consigli sul colore dello smalto. Paolo non rivedrà più l’estate.
Servono strade sicure. Serve educazione vera, non favole. Serve ascolto, azione, rabbia che si trasformi in movimento. Serve che tutti iniziamo a urlare. Perché il silenzio è il vero assassino. E io non voglio restare zitta. Non più.
Perché questa volta non si tratta solo di asfalto. Si tratta di noi. E io non voglio scomparire in una curva. Io voglio restare viva. Per loro. Per Giovanni, Giorgia, Anita, Paolo. Per tutti coloro che non ci sono più.
A voi, che siete usciti di casa per una serata qualunque e non siete più tornati, noi non smetteremo mai di aspettarvi. Non ci sarà notte in cui non penseremo che dovevate esserci ancora. Ma ci resta solo il rumore del vostro silenzio.
E ve lo giuro: finché vivrò, vi porterò con me. Perché siete stati nostri. E nessuno potrà portarvi via davvero.
Ciao. Ciao ai nostri amici.