“Stanze dell’amore” in carcere: sì ai colloqui intimi. Ma il SAPPE insorge: “Non siamo guardoni di Stato”
“Amore dietro le sbarre: ecco perché il primo sindacato di polizia penitenziaria dice NO”.
Dopo anni di attese e dibattiti, il sistema penitenziario italiano compie un passo storico: sarà finalmente possibile per detenuti e detenute accedere ai cosiddetti “colloqui intimi”, un diritto riconosciuto oltre un anno fa dalla Corte Costituzionale. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha infatti approvato le linee guida per permettere ai carcerati di vivere momenti di intimità con il proprio partner, nel rispetto della dignità della persona e dei principi sanciti anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tuttavia, a fronte di quello che per molti rappresenta un avanzamento sul piano della civiltà giuridica e della rieducazione del reo, si leva forte e chiara la voce del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria (SAPPE), che denuncia con fermezza le criticità organizzative e le implicazioni per il personale.
“Non ci siamo arruolati per diventare guardoni di Stato”, attacca il segretario generale Donato Capece. “È inaccettabile che si chieda agli agenti, già sotto organico e sottoposti a turni massacranti, di assumersi ulteriori compiti che nulla hanno a che vedere con la loro funzione istituzionale.”
Il SAPPE, il sindacato più rappresentativo del Corpo, ha chiesto un confronto urgente con i vertici del Ministero della Giustizia, denunciando la totale inadeguatezza delle linee guida emanate dal DAP: nessuna indicazione chiara sulle modalità operative, sulle risorse disponibili o sulle misure di sicurezza da adottare. In un sistema penitenziario afflitto da carenze strutturali e logistiche, l’idea di creare spazi riservati all’affettività viene bollata dal sindacato come “scollegata dalla realtà”.
Secondo il SAPPE, il rischio non è solo quello di una svalutazione del ruolo del personale penitenziario, ma anche di abusi e irregolarità: “Potrebbero esserci richieste strumentali da parte dei detenuti per ottenere benefici non dovuti, con ricadute pericolose in termini di ordine e sicurezza interna.”
Se da un lato si riconosce l’importanza del principio sancito dalla Consulta, dall’altro il sindacato mette in guardia: senza un piano serio, realistico e condiviso, a pagare saranno solo gli agenti. “I diritti dei detenuti non possono continuare ad essere riconosciuti scaricandone interamente il peso sulla Polizia Penitenziaria.”
